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Un racconto scritto su aNobii da Dous, Cele, Angelica, Faustina40, Monica67, Evilla Prunella.


Finalmente la tempesta!
Moira si sentì sollevata non appena sentì la pioggia battere selvaggiamente sul terreno fuori dalla sua vecchia casa. Tuoni, vento, freddo. Da troppo, troppo tempo si era respirato solo sole: quale peggiore solitudine per una strega?

Moira non era una strega qualunque, possedeva soltanto la conoscenza e qualche piccolo incantesimo.
Il suo aspetto era molto diverso dal resto della sua famiglia, aveva l’aria mite e gentile, ma era un vulcano di idee.
La sua nascita, il suo aspetto angelico avevano dapprima, stupito tutti, tanto che la sua famiglia l’aveva un po’ esclusa dalle loro riunioni: non riuscivano a capacitarsi di cosa potesse essere successo. Quale strano incantesimo aveva fatto sì che una strega avesse l’aspetto di una fata? Ma poi era proprio una strega?

Moira aprì la porta e rimase a guardare il temporale.

I lunghi capelli corvini ondeggiavano al vento, i lampi si rispecchiavano nei bellissimi occhi neri. Questo il suo peccato: era nata di indole incredibilmente buona. Diversa dalle altre, così da essere emarginata, e confinata nella casa della montagna per sempre.

Come in tutte le favole e come in ogni mondo incantato quello di Moira appariva ai suoi piccoli occhi il riflesso della sua anima buona.
E così aprendoli osservava quanto di meglio potesse esserci, per poi richiuderli sperando che al prossimo istante le cose sarebbero state migliori.

Provò ad alzare un dito verso il cielo e nell’esatto istante in cui alzò il suo braccino scoprì che dal dito mignolo lampeggiava una lucina blu, proprio come l’ultimo lampo comparso nel cielo. Provò con l’altro braccio e in quell’istante una piccola nuvola si mosse dall’orizzonte per raggiungerla. Stava sognando?
No.
Aveva scoperto il dono di chiamare come pecore quelle nuvole candide come lana.
E di parlar loro nella lingua che avrebbe inventato.

Tutti i pensieri che le sorgevano nel cuore erano pensieri buoni e diceva tra sé e sè:

“se posso chiamare le nuvole posso far piovere dove la terra ha sete…”

E intanto due lacrimoni le scendevano dagli occhi perchè sentiva che questo la allontanava ancora di più dalla sua famiglia.

Con gli occhi al cielo diceva:
“nuvole, dolci nuvole, cosa posso fare per farmi amare?”

E fu allora che piansero, le nuvole, e col loro sentimento dissetarono quei lontani terreni riarsi che da secoli la natura aveva condannato.
Il frutto dell’amore piangeva sulla terra che l’aveva dimenticato.

Moira soddisfatta del suo incantesimo, si mise a contemplare la natura sopra le dune.
L’aria era di nuovo fresca, la vita rinasceva come ogni volta dopo la pioggia, il vento le scosse i capelli e sorridente si addormentò.
Si ritrovò da lì a poco in un luogo meraviglioso.

Era il paesaggio mutato dall’acqua, era una natura rinata dall’aridità e dal’abbandono. Era il fiorire di una nuova speranza per lei.

Osservando il paesaggio lussureggiante notò che il terreno reso soffice e morbido dall’abbondante pioggia presentava in più punti dei buchi, dei fori all’apparenza profondi di varie forme e dimensioni.
Si chinò e iniziò ad osservarne uno a forma di caramella.

All’interno del buco, Moira fu attratta da un oggetto luccicante, era una teiera, la prese, ne sollevò adagio adagio il coperchio e ne uscirono dei fiori bianchi di sambuco, che, come risvegliati da un lungo sonno si sollevarono dall’interno della teiera fino a formare un albero, verde e profumato.

E conobbe le meraviglie dei colori che si risvegliavano dal sonno, scoprì la nascita della vita nelle forme più incredibili e nei posti più impensati.

Ora che aveva conosciuto quella meraviglia, Moira sentiva che doveva continuare il suo viaggio alla scoperta di nuovi incantesimi.
Continuò a camminare mentre il terreno si ricopriva di erba verde, scintillante di magica rugiada e di corolle multicolori dal profumo inebriante. Proseguì a lungo, estraendo di tanto in tanto nuovi fiori e piante dalle magiche buche sul suo cammino, fino a quando arrivò al limitare di un bosco; due salici, unendo i loro rami in un magnifico intreccio formavano un ingresso: Moira decise di varcare quella soglia.

Nessuna porta resta incustodita. Le si parò davanti una figura alta, triste, glaciale. Nascosta da un mantello nero le bloccò il respiro e la strada. Ebbe paura.

Poi, quando un raggio di luce riflettendosi su una foglia rimbalzò per caso in quella direzione, riconobbe un viso che le era familiare.
Era proprio lui.
E la sua voce glie lo avrebbe confermato.
Il suo profilo inconfondibile gli apparse ricordandole le ultime parole che suo nonno disse prima di morire:

“tornerò a vederti”.

E ora disse,

“Mi hanno affidato il compito di custodire questo luogo, nell’attesa del tuo arrivo”.

La reazione di Moira fu un misto di gioia e spavento.
Mai e poi mai aveva creduto vere le parole del nonno.
Dopo i primi istanti di smarrimento si protese verso il vecchio per abbracciarlo ma qualcosa di invisibile glie lo impedì. Era la fitta ragnatela di un ragnetto.

Quel ragnetto così piccolo e grigiastro, le parlava.
Lei non riusciva a crederci, dapprima la cosa le sembrò strana, poi rasserenandosi si avvicinò, ascoltandolo.

“Ora ti racconterò la storia del bambino curioso”, le disse il ragnetto e proseguì:

“Era un bambino pressappoco della tua età, Moira. Era un bambino molto capriccioso. Ogni mattina si svegliava chiedendo cose impossibili:
-Voglio una mela blu!!
-Voglio una cintura di raggio di sole!!
La mamma alle richieste continue del bimbo, stava impazzendo”…

Moira amava tanto le favole: era il nonno che gliele raccontava quando era piccola per farla addormentare. Non voleva perdere neppure una parola del racconto del ragnetto. Fece per sedersi sul prato e i fiori si piegarono per farle un cuscino affinchè potesse stare più comoda.

“Racconta ragnetto… ti prego! “ Gli disse.

“La mamma cercava in tutti i modi di accontentare il bambino ma i suoi desideri erano impossibili da realizzare. Questo la rendeva così triste che la notte, quando finalmente il bambino dormiva, andava nel bosco vicino e piangeva, piangeva”…

 

A questo punto interviene una pausa pubblicitaria.
Si aprono le luci e il narratore si assenta per andare a recuperar delle noccioline.
Moira sbuffa tirando su non si sa da dove il cellulare e comincia a inveire col fidanzato che gli da l’ennesima buca.
Il pubblico intanto si ventila con quel che gli capita sotto mano per via dell’assenza dei condizionatori.
C’è qualcuno che a cavallo di due sedili si improvvisa showman con gli amici e ripete qualche scena della fiaba.
I pochi bambini presenti corrono divertiti tra le file di poltrone brandendo le stecche dello zucchero a velo a mò di bacchetta magica.
Poi si attenuano lentamente le luci e tutti ritornano automaticamente a sedere.
L’ultimo chiude la porta.

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